pasquale aiello
foto e progetti
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CENTRO SUPERIORE IMPIANTI A FUNE - LA DISMISSIONE

Ho fotografato il Centro Sperimentale Impianti a Fune del Ministero dei Trasporti quando era già stato chiuso. Era in attesa di conoscere quale sarebbe stato il suo destino, sperando di terminare in maniera dignitosa la sua lunga attività di presidio della sicurezza di tutti gli impianti a fune del nostro paese.
Le funi (in realtà grossi cavi di acciaio) potevano essere di tutti i tipi: per impianti di risalita, funicolari, funivie, teleferiche e lì venivano esaminate, collaudate, provate. Solo allora ne veniva autorizzato l'utilizzo.
Lo Stato faceva la sua parte di garante della sicurezza proponendo una sua neutralità, senza profitti da trarre dall'attività svolta. Non c'erano privati che si inserivano con il loro business per garantire una "sicurezza" dietro tariffe esose e probabili conflitti d'interesse.
Non era certo il "migliore dei mondi possibili", tuttavia le notizie di incidenti gravi agli impianti a fune erano rarissime…i potenti cavi d'acciaio erano verificati, smagliati, osservati al microscopio e, se necessario, passati anche nella "macchina delle macchine" cioè quella della prova funi da 500 tonnellate che le tirava fino a verificarne il punto di rottura. Nella grande sala che ospitava questa macchina, quasi sul soffitto e dopo una prova estrema, ho potuto osservare gli effetti della rottura di un cavo di grande sezione di una cabinovia. Il muro portava ancora i segni dell'effetto frusta di quel cavo spezzato. Tuttavia, grazie anche a quella prova, avrebbe garantito, rispettando le giuste portate, tranquille salite e discese dell'impianto che lo avrebbe utilizzato.


La storia di Roberto Tulli, le suggestioni di Ermanno Rea (e del suo Vincenzo Buonocore).

Roberto Tulli è stato per anni un lavoratore del Centro Sperimentale, ed essendo colleghi, mi è capitato talvolta di incontrarlo e di parlargli. Quando ho deciso di chiedergli notizie riguardo l'impianto, il Centro era ormai chiuso e lui ne era diventato il custode.
Dal suo racconto emergeva una storia che in gran parte ignoravo. Non era solo la storia di una struttura inaugurata nel 1958, in una Montecompatri allora molto più lontana da Roma di quanto non lo sia oggi, ma anche la storia di una persona che in quel luogo aveva trascorso molti anni, ne conosceva bene gli ambienti, la storie e le vicende.
Ora, da custode, vigilava le grandi sale, le officine, il laboratorio e gli uffici, unico a poter camminare ancora per i corridoi e le stanze, ormai vuote di persone, ma ancora dotate di macchinari ed impianti.
Con molta compostezza, ma soprattutto con orgoglio, mi raccontava il lento declino del Centro Sperimentale ormai non più del tutto al passo con le più moderne tecnologie e destinato, quindi, alla dismissione.
Nel suo racconto coglievo un parallelismo tra le vicende storiche e politiche del nostro paese e la storia dell'impianto. Gli anni in cui lo Stato governava e coordinava anche l'economia, garantiva "per statuto" la sicurezza, era un punto di riferimento per cittadini e privati, coincidono con la nascita dell'impianto ed il suo rapido affermarsi come eccellenza nel campo della sicurezza degli impianti a fune.
Anni dopo arrivarono, gradualmente, le politiche neoliberiste, arrivarono i tagli alla spesa pubblica, le "economie", le privatizzazioni e…le dismissioni del patrimonio pubblico per fare cassa o risparmiare. Erano e sono le nuove, note, parole d'ordine.
Di conseguenza, inesorabilmente, diminuiscono gli investimenti nella sicurezza pubblica e, nel campo, irrompono settori privati che fiutano l'importanza di inserirsi in questo settore, prima unicamente garantito dallo Stato, al fine di ottenere fette di profitto.
Il CSIF non rimane estraneo a queste logiche. Mancano i finanziamenti, gli impianti non vengono ammodernati, lentamente si passano le competenze ad enti (o privati) "terzi" che fanno (quasi) le stesse cose ...insomma inizia il declino e la fine è all'orizzonte.
Tutto questo Roberto Tulli lo raccontava mentre mi accompagnava negli spazi ormai deserti.
Roberto raccontava, indicava con le mani, simulava con ampi gesti i movimenti delle grandi macchine ormai ferme, sollevava degli oggetti per mostrarceli, mi spiegava il funzionamento degli apparecchi di verifica e controllo. Con competenza e precisione. Non mancavano aneddoti e storie, alcune interessanti altre quasi drammatiche, riguardanti il nostro personale che, talvolta, si arrampicava sugli impianti in alta montagna per verificarne lo stato ed accertarne gli standard di sicurezza.
Nel meditare su questa storia ho fatto un rapido collegamento con un'altra storia.
Tempo fa avevo letto il bellissimo libro di Ermanno Rea "La dismissione" in cui si narra l'epica battaglia interiore del protagonista, Vincenzo Buonocore, ultimo operaio dell'altoforno di Bagnoli.
Quando la sua fabbrica viene dismessa lui, vae victis, deve anche aiutare i nuovi padroni cinesi a smontare proprio l'altoforno per farlo trasportare in Cina. Non può non farlo ed anche dolorosamente, poiché nella sua elevata etica del lavoro (che lo distrugge), quello sarà il suo "capolavoro".
Evidentemente non sottolineo troppo il fatto che si parli di due questioni molto diverse per dimensioni, scelte politiche ed impatto sui lavoratori e sull'ambiente.
Troppo diverse.
Tuttavia emerge una similitudine rappresentata dal fatto che alla fine di un lungo percorso, in ambedue le situazioni, ci sia un "ultimo presidio", un uomo, profondo conoscitore di ambienti ed apparati meccanici, che deve accompagnare il luogo di anni di sacrifici, gioie e lotte alla sua dismissione e distruzione.

La storia di Roberto Tulli e del Centro Superiore potrebbe essere una storia su cui pochi si soffermerebbero, presi, come ormai siamo, dal consumo veloce e poco attento di notizie ed eventi, abbagliati da una politica "spot e twittata" che vuole apparire ogni volta diversa ma che, ogni volta, invece, manifesta una sua (apparentemente diversa) continuità con quella che la precede.
In fondo, cosa è successo? Poco o nulla. Niente che non sia già accaduto o potrebbe accadere.
Nella nostra vita corriamo tutto il giorno e riusciamo a marginalizzare guerre e conflitti, povertà o sorte anche di chi ci è vicino.
Quindi cosa ci può importare di una nuova dismissione?
Anche per questo ho sentito la necessità di raccontare questa piccola/grande storia, piccola se guardata come episodio ma grande se vista come metafora di molte altre dismissioni….spesso anche di valori.
Insomma, rendere visibile una realtà che tanti potrebbero considerare, a torto, marginale.
Nelle foto Roberto, persona schiva, compare solo nell'ultima immagine (vicino alla macchina su cui lavorava), e non è stato facile convincerlo.

Piccola nota: le ultime foto sono quella della distruzione delle macchine di precisione del centro Superiore. Le ha prese in diretta Roberto, che certo non è un fotografo, ma ha sentito fortissimo l'istinto di conservare in qualche maniera, con uno strumento adeguato ed immediato, l'attimo della fine. Sarà una mia interpretazione, ma nella loro bassa qualità manifestano, invece, un'altissima qualità del gesto che racchiude rabbia/stupore/indignazione. Un gesto che vuole chiudere, con delle fotografie, un'esperienza che non è solo lavorativa.
Per questo le ho inserite così come le ho ricevute da Roberto, che non posso non ringraziare per avermi fatto partecipe di questa storia.


Documentazione originale (1958)
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