pasquale aiello
foto e progetti
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FORO STENOPEICO

Filosofia e prassi di una tecnica.

Sul foro stenopeico esiste già una monumentale quantità di informazioni sul web. Questo è un piccolissimo contributo con il quale vorrei sintetizzarne alcuni aspetti.

Il foro stenopeico, dal greco στενός (stretto) e οπή (foro) è l’obiettivo più semplice esistente in campo ottico. Un “obiettivo” privo di lenti ma costituito da un semplicissimo foro grande quanto la punta di uno spillo.

Già i Cinesi, nel V secolo a.c., avevano scoperto che la luce viaggia per linee rette. Osservarono, quindi, che la luce riflessa da un qualsiasi oggetto, attraversando un piccolo foro, proiettava invertita l’immagine dello stesso soggetto all’interno di un ambiente schermato di nero e buio.

Molto più tardi, nel XII sec. uno studioso arabo di nome Ibn al Haytham utilizzò una “camera obscura” e cioè un grande ambiente oscurato perfettamente dove su una delle pareti (quella rivolta all’aperto) praticò un piccolo foro che proiettava sulla parete di fronte quello che si vedeva all’esterno ma invertito (come in tutte le macchine fotografiche) alto-basso e destra-sinistra: quell’arabo fece con la camera obscura delle stupefacenti scoperte studiando le eclissi di sole perfettamente al riparo da abbagliamenti.
Leonardo da Vinci (nel Codice Atlantico), Filippo Brunelleschi e Leon Battista Alberti, Antonio Canal detto Canaletto ed i vedutisti veneti e romani, sono alcuni tra quelli che utilizzarono il foro stenopeico per fermare in disegni quello che si vedeva all’esterno delle loro camere obscure…e nacquero così grandi capolavori (si pensi alle splendide vedute di Venezia del Canaletto realizzate con perfetta scelta prospettica grazie a questo ingegnoso sistema).

Nell’ottocento, agli albori della fotografia la cui sintassi era determinata anche dalle conoscenze tecnologiche del tempo, pur conoscendo i pregi delle lenti (anche se molte ancora con aberrazioni non corrette) e la formazione dell’immagine ottica da essa “proiettata”, il foro stenopeico era utilizzato diffusamente soprattutto per la sua resa pittorica. La non perfezione dell’immagine utilizzata quale scelta estetica: basta pensare a “The onion field” di George Davison (1854 – 1930).

L’immagine che si forma attraverso un foro stenopeico, anche se la messa a fuoco è virtualmente infinita, non è mai del tutto definita come quella ricavata da sistemi ottici complessi (i moderni obbiettivi) ma risulta essere un po’ “morbida”, necessita di lunghi tempi di esposizione dato che il suo “diaframma” (cioè il forellino) è così piccolo che fa passare pochissima luce. Siamo nell’ordine di frazioni di millimetro ricavabili artigianalmente solo con l’uso di un ago da cucito o, industrialmente, con il laser. Parliamo di 0,3 o 0,4 mm. pari a diaframmi impossibili come f280 o f350 quando “normalmente” una diaframmatura classica può chiudere da f16 a f64.

Possiamo anche scansionare il nostro foro e, con un programma di fotoritocco che abbia lo strumento righello, misurarlo con una buonissima approssimazione: foro da 0,3 ed uno da 0,5.

Si potrebbe facilmente osservare: quale senso ha oggi, con tutta l’elettronica disponibile, pensare di fotografare con una scatola di legno, o cartone, “bucata” da una parte? Osservazione lecita.
Per rispondere vorrei proporre delle citazioni che condivido pienamente e che, data anche l’autorevolezza degli autori, sicuramente possono dare un senso ad una risposta

Per esempio le considerazioni di Sandro Iovine dall’articolo "Il ritorno alle origini e la sintassi del linguaggio fotografico" (linkato da internetcamera.com qualche anno fa, link non più attivo) da cui ho estratto una parte riguardante il foro stenopeico:

“D'altra parte però si sta sviluppando un profondo interesse nei confronti di una dimensione artistica della fotografia che si manifesta nella scelta per certi versi filosofica di recuperare le tecniche più antiche del processo fotografico chimico-fisico. In quest'ultimo contesto si inseriscono elementi relativi sia al momento della ripresa sia a quello della restituzione su un adeguato supporto. Nel primo caso la ricerca si sta sviluppando soprattutto in direzione di una riappropriazione
dello strumento tecnico di base, spesso e volentieri ridotti alla struttura originaria minima, come nel caso dell'utilizzo del foro stenopeico. La strada già indicata da Paolo Gioli viene quindi ripercorsa e reinterpretata alla luce di nuove esperienze, in cui comunque si può cogliere un atteggiamento di fondo che sottende la riscoperta delle strutture primarie del processo fotografico di cui si vuole recuperare le valenze originarie depurandolo dall'orgia tecnologica di chiara valenza commerciale che ha caratterizzato a troppi livelli il concetto di fotografia. La riscoperta del foro stenopeico è quindi
interpretabile come una reazione che tende a recuperare un linguaggio propriamente fotografico e si propone come un ritorno alle origini più elementari che a sua volta suggerisce l'idea che, da parte degli autori contemporanei, si avverta con chiarezza la necessità di esplorare uno strumento di cui non siano ancora state esplorate appieno le potenzialità espressive. Usare il foro stenopeico significa necessariamente rimettere in discussione tutta la sintassi fotografica introdotta negli ultimi anni, spesso fortemente giocata sulle possibilità di registrare in frazioni infinitesimali di secondo. Tecnicamente un'esposizione con il foro stenopeico richiede da svariati secondi ad alcuni minuti e questo fattore è sicuramente un pesante attributo per la sintassi utilizzata dall'autore.
La stessa composizione ne risente direttamente e richiede una certa staticità del soggetto perché in essa vi sia qualcosa di riconoscibile e questo a sua volta induce un differente modo di pensare il tempo in termini fotografici. Da questa caratteristica può nascere anche un modo di rappresentare la realtà attraverso un'interpretazione che si svincola maggiormente dai pesanti retaggi dell'associazione fotografia-realtà. Il tentativo è dunque quello di affrancare la fotografia dalla considerazione media purtroppo attribuita da un retaggio culturale di centocinquant'anni di storia quasi mai vissuta in modo critico ed autonomo. In altre parole gli autori sembrano voler rivendicare pienamente anche alla fotografia la valenza di mezzo che consenta di esprimere la propria personale interpretazione del mondo, una interpretazione artistica non necessariamente legata ad un accadimento reale, quanto piuttosto alla propria intuizione, immaginazione, percezione e sensibilità.”

Franco Vaccari in una citazione di Clara Castoldi, sostiene che nel foro stenopeico «si incontrano il minimo di complicazione strumentale con il massimo di magia dei risultati. L’incredibile semplicità della strumentazione necessaria, oltre ad essere garanzia di una straordinaria efficacia didattica, costituisce anche una specie di vaccino nei confronti del feticismo tecnologico».

Clara Castoldi, nella stessa sede, a proposito del valore pedagogico del foro stenopeico:

“Per realizzare queste immagini, infatti, bastano una scatola a tenuta di luce (come quella da scarpe o di biscotti) e tanta fantasia su come effettuare la ripresa, cambiando il posizionamento delle scatole medesime. Inoltre nella tecnica stenopeica è insito un valore altamente didattico: i tempi lenti di esposizione, la mancanza di un mirino, la possibilità di costruirsi il proprio apparecchio fotografico sono tutti aspetti che hanno una ricaduta sulle immagini prodotte e soprattutto inducono il soggetto ad educare lo sguardo, a ragionare, a guardare con attenzione piuttosto che vedere distrattamente. Infatti, utilizzando un simile sistema di ripresa, l’attenzione verso i luoghi o i particolari non può mai essere frettolosa, perché è richiesta un’analisi accurata e continua dei contenuti e del contesto rispetto ai propri mezzi. Vengono rivalutate, così, qualità come la calma, la concentrazione, la precisione in contro tendenza rispetto a un mondo teso a velocizzare e comprimere sempre di più i tempi del vivere quotidiano.”

Vaccari, anche in altre sedi, critica fortemente l’intermediazione che si crea tra il fotografo e la realtà causata inevitabilmente dai software che fanno funzionare tutte le camere digitali e che sono frutto delle scelte operate dai programmatori dei software stessi. Sostiene, quindi, l’uso del foro stenopeico e della sua sintassi fotografica poiché pone il fotografo direttamente a contatto con la realtà, senza mediazioni, sfruttando il principio ottico di base della fotografia e creando un filo diretto, puro, tra il fotografo stesso e la realtà che lo circonda.

Inoltre, Vincenzo Marzocchini autore di un importante libro sull’argomento (La fotografia stenopeica in Italia. Storia tecnica estetica delle riprese stenoscopiche - Ed. Clueb ) giustamente suggerisce: "[…] la fotografia stenopeica crea le condizioni (lunghi tempi di esposizione) per un ascolto prolungato del mondo circostante, stimolando un nostro lento ma efficace passaggio dal guardare al vedere [...]" Questo libro l'ho inserito nei miei suggerimenti librari.

Infine, Paolo Gioli, grande sperimentatore in vari campi dell’arte, scomparso nel 2022, sul suo sito, dice: “Ho assunto il foro stenopeico come "punto di vista" sia plastico che ideologico. L'immagine fotostenopeica mi è sorta perché non avevo una macchina fotografica. Più tardi si è trasformata, questa immagine, in una vera e propria fissazione della raffigurazione totale. Mi affascina la purezza del gesto del riprendere "povero" e la restituzione altrettanto pura ma per niente povera, anzi clamorosa. La mia non vuole essere breve azione scolastica, ma un risoluto modo di capire lo spazio attraverso proprio un punto nello spazio [...]; le magnifiche figure che ci circondano portate da raggi purissimi; senza sbarramenti ottici, senza mirino, niente chiusure e distanze né altezze.”
Ed in altra sede aggiunge: "(il foro stenopeico, n.d.r.) è il più complicato, e davvero maledetto, perché ti viene tolto addirittura quello di cui tutti si sono subito preoccupati, il mirino [...] con il foro stenopeico questo è cancellato: è negata la traguardazione, l'inquadratura".

Concludo con una breve considerazione riguardo l’uso del tempo, oggi sfuggente e spesso generatore di ansie, fattore con il quale si misurano performance e riuscita di molta parte della nostra vita. Con la tecnica del foro stenopeico si opera in senso contario, non ci deve essere fretta. La sintassi stessa di questa tecnica “impone” lentezza nell’esposizione, riflessione nella scelta del soggetto e nel recupero del guardare.
Creare quasi una bolla trasparente, nella quale può sembrare, standoci dentro, di veder scorrere fuori il tempo degli altri quasi in una nuova relatività.


Alcuni siti, tra i tantissimi, che trattano il foro stenopeico:

RICCARDO GAZZARRI

Mr.PINHOLE

JON GREPSTAD

HandMade Photographic Images

MARJA PIRILÄ




Qui a sinistra un PDF trovato in rete sugli atti del primo convegno sul foro stenopeico tenutosi a Senigallia nel 2012.





more2012_Foro_Stenopeico_atti_convegno_Senigallia_.pdf (2.92 MB)

Bicchiere di plastica stenopeico
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Bicchiere di plastica stenopeico
Negativo su carta sensibile da camera stenopeica autocostruita
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Negativo su carta sensibile da camera stenopeica autocostruita
Positivo per contatto del negativo stenopeico precedente
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Positivo per contatto del negativo stenopeico precedente
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